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Il divieto di licenziamento introdotto dal decreto cura Italia alla luce delle ultime novità del c.d. decreto rilancio

 

Il Decreto Legge n. 18/2020, emanato dal Governo in data 17 marzo scorso ed entrato in vigore il giorno seguente a seguito di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, a tutti ormai noto come “Cura Italia”, ha introdotto delle misure speciali e di carattere temporaneo a tutela dei lavoratori, con l’intento di far fronte alla situazione di emergenza sanitaria ed economica in cui si trova il Paese a causa della diffusione del Covid-19.

Tra queste, la più importante è forse quella di cui all’art. 46, D.L. n. 18/2020, il cui testo integrale, ad oggi, recita: “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

Ebbene, è notizia di queste ore che, attraverso l’adozione di un nuovo Decreto Legge, il c.d. Decreto Rilancio, ancora non in vigore ma in relazione al quale è già disponibile la bozza ufficiale, il periodo durante il quale varranno i divieti di licenziamento (collettivo e individuale) di cui al suddetto art. 46, sarà esteso da 60 giorni a 5 mesi dall’entrata in vigore (art. 83 della bozza del c.d. Decreto Rilancio).

Ciò significherebbe che, i datori di lavoro che occupano presso di loro più di 15 dipendenti (cui appunto si applica la L. n. 223/1991), per 5 mesi a partire dal 18 marzo 2020, non potranno avviare procedure volte a condurre a licenziamenti collettivi per riduzione di personale e che quelle avviate dopo il 23 febbraio 2020 ma ancora pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto saranno sospese.

Dall’altro lato, l’imminente entrata in vigore del c.d. Decreto Rilancio dovrebbe comportare, per tutti i datori di lavoro, quindi a prescindere da quanta forza lavoro occupino, la sospensione della facoltà di addivenire a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo per 5 mesi dal 18 marzo 2020, e pertanto sino alla metà di agosto 2020.

Il c.d. Decreto Rilancio, dovrebbe poi introdurre un’ulteriore novità, posto che dovrebbe essere aggiunto all’art. 46 un nuovo comma (1 bis), con il quale si vorrebbe concedere al datore di lavoro che nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, di revocare in ogni tempo il recesso, purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga decorrente dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento.

Stando alla bozza di Decreto, in tal caso, il rapporto di lavoro si intenderebbe ripristinato senza soluzione di continuità e senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

Dovrebbe pertanto essere introdotta una facoltà, per tutti i datori di lavoro, piccoli o grandi, di revocare i licenziamenti effettuati per Covid-19 prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 18/2020.

Stando alla lettera della disposizione qui analizzata, sembra chiaro che i licenziamenti temporaneamente vietati saranno solo quelli per giustificato motivo oggettivo (es. per soppressione della mansione), mentre, per converso, rimarranno ammessi, anche nei 5 mesi dall’entrata in vigore del divieto, tanto i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, intimati in presenza di una colpa del lavoratore, quanto i licenziamenti per giusta causa, in relazione ai quali il comportamento del lavoratore è disciplinarmente così grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

Rimangono poi ammessi e quindi esclusi dal divieto, in ragione della L. 24 aprile 2020, n. 27, che ha convertito con modifiche il D.L. n. 18/2020, i licenziamenti di quei lavoratori, già impiegati in un appalto, che vengano licenziati e poi assunti da altra azienda a seguito di subentro di nuovo appaltatore in quello stesso appalto.

Allo stesso modo, anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto dovrebbe rimanere possibile, posto che esso – pur avendo ad oggetto una situazione non imputabile al lavoratore (n.d.r. malattia) – prescinde dall’effettiva incidenza dell’assenza per malattia sull’organizzazione aziendale e può essere attuato dal datore di lavoro unicamente sul presupposto, necessario e sufficiente, del superamento del termine di comporto.

Concludendo, non si dovrebbe nemmeno dubitare del fatto che anche il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, a condizione che il patto di prova sia legittimamente convenuto tra le parti, rimanga del tutto ammissibile nonostante la vigenza del divieto in commento.


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